Con il Decreto del MIUR del 17 aprile 2013, atteso dopo la L. 170, sono state approvate le «Linee guida per la predisposizione dei protocolli regionali per le attività di individuazione precoce dei casi sospetti di DSA» ed è attesa la stipulazione di protocolli regionali, tra Regioni e Uffici Scolastici Regionali, per lo svolgimento di attività di individuazione precoce.
Tuttavia molte istituzioni scolastiche hanno già avviato, anche negli scorsi anni, progetti di rilevazione precoce delle difficoltà di letto-scritturacon la supervisione di esperti.
Qui riporteremo le nostre riflessioni in seguito all’esperienza cui abbiamo preso parte dal 2003 come Referenti DSA nelle nostre scuole.
La rilevazione precoce delle difficoltà di lettura e scrittura è una pratica riconducibile ad esperienze di ricerca-azione condotte dagli insegnanti con la consulenza di professionisti, ad esperienze di screening (termine questo mutuato dall’ambito medico) di indicatori di rischio. Tuttavia, è importante fin da subito chiarire che se è vero che loscreening sanitario viene fatto su un’ampia popolazione, selezionando un bacino di utenza di soggetti portatori di un indice di rischio e inviando ad approfondimenti specifici per confermare o escludere una diagnosi di malattia, è vero anche che tutto il percorso di intervento si svolge all’esterno, in ambito medico.
Nel nostro caso, invece, la rilevazione con cui ci si propone di rilevare la presenza di difficoltà nella fase di acquisizione del codice scritto prevede innanzitutto di progettare un intervento didattico interno alla scuola, che, se mira a scremare gli alunni a rischio di DSA da inviare poi allo specialista per una valutazione, punta anche ad innescare un cambiamento negli insegnanti. Non si tratta quindi di individuare casi di dislessia o disortografia, compito questo affidato ai clinici che pongono in essere diagnosi di questi disturbi solo dopo il secondo anno di scolarizzazione (fatti salvi quei profili funzionali talmente compromessi per i quali è ragionevole formulare un’ipotesi diagnostica anteriore).
Dello screening inteso come nella definizione sanitaria si mantiene nella rilevazione didattica l’uso di strumenti standardizzati che permettano un’azione semplice, rapida, a basso costo (in strumentazione e in risorse specialistiche), somministrabile su larga scala (le prove collettive rispondono anche alla difficoltà crescente della scuola di avere ore di contemporaneità didattica), replicabile e con potere predittivo (sensibile, nel senso che sa identificare i “veri positivi”, e specifico, cioè capace di escludere i “veri negativi”; le prove sono buone se bilanciano queste due caratteristiche).
I test impiegati, infatti, devono essere uno strumento predittivo e valido, e devono individuare con buon margine di attendibilità i soggetti a rischio di un certo disturbo, non evidenziandolo tuttavia in modo inequivocabile come in sede diagnostica. A livello nazionale, la Consensus Conference del 2007 ha aperto al dibattito sugli screening che il successivo aggiornamento da parte del Panel di revisione ha richiamato, affermando che “per quanto riguarda i risultati di screening in ambito scolastico, nel caso di identificazione precoce di situazioni a bassa espressività, si suggerisce di evidenziarle e monitorarle nel tempo, nell’attesa di formulare una diagnosi più attendibile”.
Già “attraverso uno screening di primo livello effettuato verso la fine della prima elementare con semplici prove collettive si può arrivare ad evidenziare se esistono difficoltà specifiche e intervenire opportunamente” (G. Stella e A. Apolito, 2004) per evitare che vengano consolidati meccanismi e strategie erronei, dispendiosi o scarsamente utili che possano allungare ulteriormente i tempi o deviare i processi acquisiti. Non solo, l’identificazione precoce offre la possibilità di contribuire a prevenire almeno parzialmente l’insuccesso scolastico, di evitare la catena di eventi negativi che da esso spesso consegue (per disadattamento, bassa motivazione, calo dell’autostima) e di prevenire l’insorgere di conseguenze psicopatologiche o psichiatriche.
Ciò avviene per due ragioni.
La prima: quando l’azione della scuola rileva dei veri positivi, “la diagnosi precoce della dislessia evolutiva costituisce un obiettivo importantissimo non solo perché accelera eventuali interventi riabilitativi, ma anche per gli effetti che comporta sull’impostazione del lavoro scolastico” (G. Stella, 2001).
La seconda: l’azione preventiva intesa a identificare precocemente le difficoltà nella letto-scrittura rappresenta più in generale una prassi utile a rafforzare le abilità di tutti, abilità necessarie a acquisire e a usare adeguatamente la lingua scritta.
Se, infatti, alla somministrazione di prove standardizzate non corrispondono un’analisi quantitativo-qualitativa degli errori e l’attivazione di laboratori di recupero scolastico o di interventi di abilitazione anche rivolti a tutta la classe o a gruppi di alunni in classe, qualsiasi rilevazione pedagogico-didattica perde il suo significato più profondo, ovvero quello di evidenziare dei bisogni per trovare delle risposte.
L’intervento di abilitazione, poi, deve essere mirato a domini specifici, sistematico, frequente ma condotto per tempi brevi, deve essere rassicurante per i genitori e motivante per gli alunni, dei quali è importante conoscere gli stili attributivi, cognitivi ed apprenditivi, e con i quali è importante stabilire un rapporto di fiducia e collaborazione perché sia possibile un cambiamento positivo dell’immagine di sé, del senso di padronanza, della consapevolezza nella modificabilità delle proprie potenzialità. Lo stesso Accordo Stato-Regioni del 2012 all’art.1 sull’accertamento diagnostico afferma che la presa in carico da parte del Servizio Sanitario pubblico avrà luogo solo dopo “la messa in atto da parte della scuola degli interventi educativo-didattici previsti dall’articolo 3, comma 2, della legge 170/2010, e in esito alle procedure di riconoscimento precoce, di cui al comma 3 del medesimo articolo 3”.