Studio Arcobaleno

Disprassia evolutiva

Correre, saltare, abbottonare la camicia, sono tutte azioni (o prassie) che si compiono quotidianamente, per lo più senza alcuno sforzo mentale ed in modo automatico.
Molto probabilmente, nessuno si chiede mai, mentre si allaccia le scarpe, quali meccanismi neurofisiologici siano implicati in questa specifica azione, ma se così fosse, se si volesse comprendere cosa permette di eseguire gran parte delle attività della vita quotidiana, in quel caso dovremmo rispondere che è la collaborazione armonica di diversi processi ed aree cerebrali che permette la riuscita dell’atto o sequenza motoria.
L’abilità prassica, ovvero la capacità di pianificare, programmare ed eseguire una specifica sequenza di azioni diretta ad uno scopo, può considerarsi acquisita quando le azioni coinvolte sono automatizzate, quindi svolte in modo rapido, preciso e senza sforzi. Tali caratteristiche rendono la sequenza motoria messa in atto adeguata all’ottenimento del risultato previsto.

 

costruzioni
La prassia, quindi, è un’azione che avviene per fasi: la persona deve avere in mente una chiara immagine dell’oggetto sul quale agire e dello spazio in cui si trova; deve pianificare mentalmente i movimenti necessari per raggiungere lo scopo ed infine controllare se l’azione è andata a buon fine. Affinché la prassia avvenga correttamente occorrono una percezione visiva dell’obiettivo e dello spazio circostante ottimali, una corretta percezione del proprio corpo ed ovviamente l’integrità della funzione muscolare.
L’evoluzione e l’organizzazione degli schemi motori nel bambino comportano l’acquisizione di tali abilità. Quando ciò non accade è possibile che si sia in presenza di un quadro diagnostico denominato Disprassia Evolutiva.

La Disprassia è un disturbo caratterizzato da marcata compromissione della coordinazione motoria, che si traduce in un comportamento nel quale è possibile osservare goffaggine, impaccio motorio, mancanza di destrezza ed abilità nell’esecuzione di un gesto specificamente progettato per ottenere un determinato risultato.
Nel DSM-IV-TR tale quadro diagnostico rientra nel “Disturbo di Sviluppo di Coordinazione”, mentre nell’ICD-10 viene incluso nel “Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria”. Entrambi i manuali specificano come le difficoltà osservabili nella coordinazione motoria non siano attribuibili ad una condizione medica generale, ad un altro disturbo psichico o a Ritardo mentale.
Nella pratica clinica è possibile riscontrare una Disprassia “primaria o pura” o “secondaria”, a seconda che il disturbo si presenti o meno associato ad altre patologie o sindromi.

La manifestazione sintomatologica del disturbo si evidenzia in maniera sempre più specifica con il procedere dello sviluppo:

Età 0-2 anni
Durante il primo anno di vita il bambino può presentare difficoltà di suzione ed alimentazione, problemi nel riuscire a spostare lo sguardo per osservare oggetti o persone in movimento; spesso fatica a cambiare posizione a causa della mancata maturazione dei passaggi di postura. Inoltre si osservano le prime difficoltà nell’afferrare gli oggetti circostanti soprattutto piccoli, a causa della permanenza della prensione palmare anche dopo il primo anno.
Nel secondo anno di vita l’immaturità presente dal punto di vista motorio può dar luogo a difficoltà nel raggiungere la stazione eretta autonomamente e poi nel camminare. Ciò può comportare una ridotta esplorazione dello spazio esterno.
L’ attenzione nei confronti degli oggetti proposti è molto breve, perché non avendoli adeguatamente sperimentati il bambino non sa come usarli. Le difficoltà nella programmazione ed esecuzione del gesto incidono negativamente sulla capacità comunicativa del piccolo, che soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo interagisce con i gesti indicativi supportati dallo sguardo.

Età 3-6
Il bambino inizia a muoversi nello spazio circostante in maniera notevolmente caotica e disorganizzata; si manifesta la classica goffaggine nei grandi movimenti del corpo specie nella corsa, nel salto, nel lancio e nel calcio della palla.
Emergono con evidenza le difficoltà legate alle varie autonomie personali come mangiare, vestirsi e lavarsi, che contribuiscono ad attivare vissuti di dipendenza nei confronti delle figure adulte di riferimento.
A scuola il bambino può affrontare con estrema fatica attività come il disegno, i giochi con le costruzioni, i giochi di manipolazione con il pongo, l’uso delle forbici; inoltre la capacità di restare attento per tempi protratti è notevolmente ridotta. Il gioco apparirà estremante povero e ripetitivo, basato per lo più sulla funzione dell’oggetto, con difficoltà ad introdurre le variabili proposte dagli altri. Spesso generalizzare le competenze motorie acquisite in passato risulta difficoltoso, ostacolando l’apprendimento di nuove abilità.
Le difficoltà presenti nello svolgimento di attività domestiche e scolastiche, possono far scaturire spesso momenti di frustrazione, portando il bambino ad assumere atteggiamenti rinunciatari ed oppositivi.

Età 7-12 anni
Giunto in prima elementare si denota un quadro caratterizzato da facile distraibilità e tempi di attenzione molto brevi: questi bambini fanno fatica a seguire le spiegazioni dell’insegnante ed a completare le consegne date. Inoltre si associano problemi di apprendimento sia in lettura che in scrittura, in particolare disgrafia.
Affrontare lo studio con risultati al di sotto delle aspettative può generare nel bambino vissuti di autosvalutazione.
Insorgono difficoltà nel comprendere le coordinate temporali, quindi i concetti astratti del prima e del dopo, ieri e domani.
Spesso sono presenti problemi di mancata predominanza laterale, inoltre permane una motilità spontanea caratterizzata da goffaggine e maldestrezza: per questo motivo prendere parte ad attività sportive richiede un notevole sforzo per questi bambini.
Il continuo confronto con i coetanei e la percezione di se stessi come poco adeguati nelle varie situazioni, generano sentimenti di frustrazione, scarsa autostima e fragilità emotiva che ostacolano la possibilità di stringere amicizia con i pari.

Quanto appena descritto permette di comprendere il motivo per cui, nella pratica clinica, raramente la Disprassia si presenta come disturbo “puro”, nel quale la difficoltà risulta circoscritta esclusivamente ad uno specifico ambito. Nel caso, però, questo dovesse accadere, ci si potrebbe trovare in presenza di situazioni definite in base all’area prevalentemente colpita, quali:

1. Disprassia generalizzata
2. Disprassia verbale
3. Disprassia orale
4. Disprassia dell’abbigliamento
5. Disprassia degli arti superiori
6. Disprassia della scrittura
7. Disprassia dello sguardo
8. Disprassia della marcia
9. Disprassia del disegno
10. Disprassia costruttiva

L’intervento terapeutico prevede un approccio di tipo multidisciplinare, che abbia lo scopo di far fronte alle molteplici difficoltà presenti e che spesso coinvolgono più aree dello sviluppo.
Il trattamento del bambino disprattico prevede un costante supporto nel costruire una serie di strategie per risolvere i compiti della vita quotidiana, rieducando la capacità di rappresentazione del mondo esterno e di manipolazione delle proprie rappresentazioni mentali, non semplicemente attraverso il mero esercizio per imitazione di un modello esterno, ma aiutando il bambino a sviluppare una propria personale capacità di trasformare la rappresentazione dell’oggetto, “immaginando” alternative verosimili dell’input.
La precocità dell’intervento influisce in modo positivo sugli esiti della terapia.
Il coinvolgimento dei familiari e della scuola permetteranno di fornire indicazioni pratiche per supportare, non sostituire, il bambino nello svolgimento delle attività quotidiane, rimandandogli un costante senso di adeguatezza.